Alla fine della partita dei cadet, decidiamo di spostarci nel settore di fronte alla tribuna. Moussa dice che i tifosi di Arafat sono un po’ violenti e non vuole farci correre rischi. Non notiamo grandi differenze ma decidiamo di seguirlo.
Lo spazio aperto della gradinata ci permette di godere del venticello che soffia leggero.
La luna, bianca come una palla, è il quinto riflettore.
Entrano in campo i giocatori. Noi facciamo gruppo con i ragazzi di Arafat, Moussa mi dice che allo stadio si tifa per i bianco-neri. E’ uno dei quartieri più popolari, più densamente abitati e in cui la passione per il calcio si vive quotidianamente. Quasi tutti tifano Arafat.
Anche per questo, dopo due minuti, cala il silenzio. Un’azione fortuita dentro l’area di rigore arafatiana fa scivolare la palla in rete.
Uno a zero Galgui. I tifosi però non perdono le speranze. Nessuno canta e si assiste alla partita in silenzio o creando lunghi e interminabili dibattiti su ogni tipo di azione. Dibattiti da cui, purtroppo, sono escluso perché in wolof.
Devo essere sincero, la partita è di una noia incredibile. Non ci sono azioni degne di nota. Talvolta si notano sprazzi di tecnica ma che si concludono in un nulla di fatto.
Tantissima corsa e un atletismo incredibile, mi dice Moussa, ma vedi che non hanno uno schema di gioco? Ils sont mal disposés, sono messi male in campo. I tifosi alle nostre spalle spesso non la prendono bene: vengono gettate in campo sacche d’acqua che esplodono. A volte volano verso il campo anche delle pietre. La guardalinee, a metà secondo tempo, fa interrompere il gioco all’arbitro perché non si sente sicura.
Come spesso mi dice Moussa, ciò che rende interessante il Navetane non riguarda propriamente il calcio giocato.
La partita è in corso e fanno l’ingresso nello stadio le altre due squadre che giocheranno al termine della prima semifinale. La squadra Cité Millenaire, bianco-blu, inizia un particolare giro di campo.
Camminano in fila indiana sulla linea che delimita il terreno di gioco, la partita intanto scorre senza interruzioni. I giocatori, con i dirigenti e con l’allenatore, passeggiano lentamente.
In coda al gruppo un uomo lascia cadere dalle sue mani manciate di qualcosa che sembra sabbia. A ogni calcio d’angolo si fermano e lo stesso uomo seppellisce un amuleto vicino alla bandierina.
Ogni squadra, e a quanto pare anche alcuni giocatori, fa riferimento a un marabutto di fiducia. Uomini religiosi che godono di ottima reputazione in buona parte della società senegalese. Forse ottima reputazione è persino riduttivo: sono uomini rispettati e ai più importanti vengono riconosciuti valori profetici. Rappresentano l’incrocio tra la religione islamica e le credenze ancestrali che preesistevano all’influenza araba in Senegal. I marabutti possono essere interpellati a partita in corso e, anche non assistendo alla gara, possono consigliare gesti da compiere o particolari scongiuri a cui molti credono ciecamente.
Ad un momento della partita il numero 20 di Afarat è in netta difficoltà, è un attaccante esterno che ci mette buona volontà ma che non arriva dove vorrebbe. Dialoga spesso con i tifosi di Arafat che si trovano vicino a noi. A dieci minuti dalla fine, mentre il gioco si è interrotto per un fallo, l’ala destra scatta verso la nostra gradinata, un tifoso gli passa qualcosa tra le mani.
E’ un uovo.
Con la stessa velocità si dirige verso la porta avversaria e lo distrugge, scaraventandolo con violenza dall’alto verso il basso, dietro la linea.
Fa gol, insomma.
Speriamo bene, dico a Moussa. E’ un po’ amareggiato perché desiderava farci ascoltare il boato dei tifosi di Arafat, ma niente di fatto. La partita termina 1 a 0 per Galgui, se ne parlerà il prossimo anno.
Il giro di campo finale dei Galgui non è molto ben visto dalle nostri parti, volano alcune pietre all’indirizzo dei giocatori che pensano bene di tornare negli spogliatoi per festeggiare.
Noi chiacchieriamo della partita, serpeggia delusione tra i volti dei nostri amici ma nessuno si dispera. Sono tutti già pronti quando scendono in campo le altre due squadre semifinaliste. Il calcio di questo venerdì sera non finisce qui: c’è un’altra partita, altre due ore di aggregazione, chiacchiere, socialità e divertimento a cui nessuno sembra volersi sottrarre.
I tifosi delle nuove squadre ASC Yakaar e Cité Millionaire sono un po’ più vivaci. I secondi accendono torce, cantano e ballano per i primi dieci minuti poi, anche a causa della prestazione della loro squadra, la palla passa ai supporter di Yakaar. Dal silenzio totale si sentono due colpi di tamburi sotto la tribuna dove hanno preso posto, dietro al loro striscione. Da distante si notano così tanti corpi in movimento da sembrare una sola persona che balla e canta.
Il ritmo dei djembe ci accompagna fuori dallo stadio quando decidiamo, ormai stanchi, di ritornare a casa. La confusione e il rumore della strada sotto lo stadio ci riportano in pochi secondi al contatto con la realtà.
Un taxi ci riaccompagna a casa mentre la VDN, vuota a quest’ora, lascia spazio ai pensieri. Nessuno parla, ma non c’è bisogno.
Francesco Mazzanti