Le strade e il senso del luogo: Pievetorina e Visso

Siamo quasi a Visso: ampie curve in leggera discesa immerse nel verde, poche macchine a quest’ora. Solo Vespa, con il suo tono al solito vivace, turba il silenzio mentre ci porta dolcemente fino a Villa Sant’Antonio, frazione attraversata dalla strada che conduce a Visso. C’è un semaforo provvisorio all’altezza della prima casa. Osserviamo in silenzio, da un lato e dall’altro, le case. Alcune demolite, sono dei cumuli in un ordine straziante che segna il ciglio della strada. Altre sono ancora in piedi nonostante pesanti crolli: lasciano che si immagini la loro forma originaria e i possibili usi, abitudini, gesti di chi le viveva. Il traffico scorre nel mezzo di una catastrofe.
Ci fermiamo alla Pasticceria Vissana. A pochi metri c’è la zona rossa, il presidio dell’esercito e l’ufficio dove è possibile avere il permesso per transitare. Questa è una strada molto importante: passa dentro Visso, prosegue per Castelsantangelo sul Nera e da lì fino a Castelluccio di Norcia. Il collegamento tra questi borghi è vitale: ognuno di essi è un gioiello, ma non può brillare solo di luce propria. Ai tavolini fuori della Pasticceria si parla di questo, quando riapre ‘sta strada. C’è un gruppo di motociclisti anconetani che chiede conferma, per raggiungere Castelluccio l’unica è passare da Norcia.

Incontriamo Matteo, 19 anni, vissano. Ci siamo conosciuti a Tutti agibili per un giorno, l’evento del 24 giugno scorso al Laghetto di Visso. Era stato invitato a raccontare la sua esperienza e a leggere «Derby: una normale domenica di anormalità a Visso», il suo articolo premiato alla quinta edizione del concorso regionale “Il giornale della scuola” promosso dall’ordine dei giornalisti delle Marche. È fresco di esame di stato, mi hanno fatto passare con 96. Non è stata certo la maturità il problema centrale di questo periodo. Impegnato tra spesa, animali e trasloco riesce a ritagliare una mezzora. Gli chiediamo come va, qual è la situazione del paese e di chi resiste lì.
Colpisce lo sguardo tranquillo, la pacatezza nello spiegare le difficoltà, gli intoppi, le imprese quotidiane di chi vive la realtà di Visso. Per l’Università sta pensando a Pisa, facoltà di Fisica. Parliamo anche dei molti eventi che ci sono in questi giorni, dai concerti di RisorgiMarche al Terreinmoto a Fiastra. Poi il discorso cade sugli argomenti più vicini, tangibili.
Le casette sono in costruzione. Alcuni, nella zona del campo sportivo, la parte alta del paese, riescono ancora ad abitare in casa. Le roulotte di chi è sfollato sono lì vicino, davanti agli spogliatoi del campo. Tutt’intorno c’è emergenza tangibile. Non sono tanto i gesti o i comportamenti delle persone tra loro, quanto ciò che la gestione dello spazio implica e significa.
A quasi un anno dalla data in cui Visso è stata colpita, siamo su tavolini davanti ad un posto di blocco, dietro al quale c’è la città distrutta, non agibile. È anche per questo che, anche con Matteo, finiamo per parlare di strade. Ci suggerisce di andare sulla Valnerina, la strada che porta a Roma, interrotta da una frana. Proseguiamo a piedi in direzione opposta a Castelsantangelo. Proviamo a capire quali danni abbia subito il ristorante a bordo della carreggiata, osservandone a lungo le pareti. Dietro, un costone di roccia declina nella vegetazione spontanea, pietre in ordine sparso lungo il tragitto. Superiamo due sbarramenti di piloni, dopo circa un kilometro la strada è invasa dalle acque del Nera, esondate a causa della frana di crollo del versante sinistro. Di quel tratto della Valnerina rimane uno scenario irreale: un laghetto in cui s’immerge il guardrail.

Torniamo a prendere Vespa, è ora di pranzo. Avevamo sentito parlare del Vecchio Molino a Casavecchia di Pievetorina. Il ristorante non ha subito danni: riuscendo a lavorare anche durante l’inverno è diventato un’istituzione per le squadre dei Vigili del fuoco e della Protezione civile, arrivate un po’ da tutt’Italia. Tagliatelle al tartufo cantanti e grigliata poetica. Fuori fa un gran caldo e il fresco del locale consente di confrontarsi con piatti non proprio estivi, mentre la tv racconta i romanzi del calcio estivo.
Conosciamo Loredana, lavora in sala e ci serve, battuta pronta e gentile. Ci prende in simpatia sin dall’inizio e aspettiamo che sia un po’ meno indaffarata per fare due parole. Si scherza sulla quantità di persone venute a mangiare a pranzo il giovedì, pensavate che ero fuggita eh? Non ci vedevamo da un po’! Le chiediamo della sua esperienza, di come sono andati questi mesi. Stancanti, appena posso vengo giù dalle parti vostre, a Senigallia. La perdoniamo per l’approssimazione geografica, guarda che se vai un po’ più giù verso Ancona c’è il Conero, Mezzavalle… Ci vediamo lì, mi raccomando eh!

Decidiamo di tornare verso Fiastra passando per Appennino, frazione di Pievetorina arroccata lungo la strada che porta a Cupi. Un giro nella parte alta del paese, segnata da un arco, svela la vista magnifica di balconi che si affacciano sui Sibillini. Ci inoltriamo tra le vie in salita e le scalinate tortuose che aprono scorci. È come se tutti se ne fossero andati in fretta, lasciando sparso qua e là ciò che stavano facendo. Solo le case parlano, seguono il ritmo scosceso del paese, si adeguano al saliscendi. Torniamo sui nostri passi, due signore passeggiano. Una di loro ha appena comprato un gelato da un bar ambulante che la raggiunge in paese. Le diciamo di tenere duro mentre s’incammina verso la sua nuova casa. Quella di prima, all’ingresso del paese, è inagibile.

A Fiastra è già iniziato Raccontare il terremoto presso il tendone dell’area dibattiti del festival Terreinmoto. Sono presenti, tra i relatori e il pubblico, gli scrittori e i giornalisti da cui abbiamo appreso la maggior parte delle informazioni prima di partire. Si parla di molti argomenti: la scarsa o assente comunicazione tra amministrazione e cittadini; i ritardi nella costruzione e consegna delle Sae; le sovrapposizioni di responsabilità tra Regione, Provincia e altri enti; il silenzio assordante dei media mainstream. Anche se in linea di massima si è d’accordo sui ritardi e sulla cieca pesantezza della macchina burocratica, è vero dibattito.
Togliamoci dalla testa due stereotipi ingombranti: il terremotato autocommiserante e il montanaro ignorante mai uscito dal proprio paese. Sono presenti terremotati e montanari, si, ma prima di tutto persone che espongono e discutono competenze e idee.
La scelta di raccontare il terremoto suscita in primo luogo un problema: capire quale sia lo stato delle cose, cercare di rendere conto della realtà sociologica e antropologica.  Per non rendere tale descrizione una sterile fotografia, è necessario integrare a essa una riflessione seria sul senso della trasformazione di questi luoghi. Bisogna fare seriamente i conti con il fatto che il terremoto ha determinato, in molti casi, modifiche irreversibili del territorio; fare i conti con il fatto che da molte parti «non si potrà ricostruire dov’era e com’era». Per questi motivi raccontare il terremoto diventa da un lato la narrazione della lotta, della resistenza degli umani; dall’altro la riscoperta del luogo, dei possibili che il territorio e le cose tra loro ci concedono e negano. Fino a chiudere il cerchio: perché il modo in cui si sviluppano le lotte va a caratterizzare i luoghi, ha bisogno di luoghi in cui imprimere i propri significati.

Il festival si sposta al Castello Magalotti. In programma c’è il reading di Wu Ming 2 GODIIMENTI – Come inceppare la grande opera e vivere felici. Il GODII è la Grande Opera Dannosa Inutile e Imposta.
Prima, di fronte alla chiesa puntellata di San Paolo, c’è il tessuto aereo a cura della polisportiva Ackapawa di Jesi. Sul tramonto mozzafiato di Fiastra una ragazza danza su un trapezio, sospesa a metà tra il lago e il cielo.

Francesco Mazzanti e Enrico Mariani