Un’idea semplice

A Macerata c’erano tutti. A cominciare da quelli che non c’erano.

Chi pensava che fossero sbagliati i tempi e aveva già chiamato i pompieri.
Chi dal freddo dei piani alti invita a restare a casa, a non soffiare sul fuoco. E – dimenticando le vittime – aveva fatto i propri calcoli, scegliendo di non esserci per non fare errori di posizionamento.
Chi – invece di incoraggiare l’affermazione di valori imprescindibili della Costituzione – alimentava la tensione e coglieva la palla al balzo: “ad impedire la manifestazione ci penseremo noi”. Nel frattempo “scrutava l’orizzonte” mettendo in una squallida relazione di presupposizione migrazione e razzismo, fornendo argomenti ai propri avversari politici.
Chi aveva paura del clima di paura, “però se il Comune chiude le scuole e sospende i trasporti, per prudenza si è portati a chiudere.” E allora si è barricato con le assi di legno, salvo poi pentirsene, perché “chi è stato aperto ha fatto grandi incassi” (sic).
Chi, appena letto dei cori sulle foibe, vi ha trovato il motivo della propria assenza. Ed è partito in automatico: gli antifascisti sono più fascisti dei fascisti, e tanto sono tutti uguali comunisti e fascisti, fascisti e antifascisti, rosso e nero, siete i soliti esaltati. Ma davvero, a fronte di una manifestazione con migliaia di persone, state riducendo tutto a questo?
Chi, forse i peggiori, invece di immedesimarsi nelle vittime si immedesimava nel carnefice, “perché non se ne può più”, “perché non sono razzista, ma”. E magari soppesava la gravità tra l’attentato e il caso di Pamela con spudorato cinismo, senza rispetto per nessuno, neanche per sé stesso.

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C’eravamo anche noi, in viaggio a Londra, con il cuore.
E quindi vogliamo raccontarvi due storie.

A Londra c’è Q., italiano, studente di legge. Ad un certo punto si è stufato, il diritto non fa per lui. Inizia a lavorare in cucina, il suo sogno. Per arrivare a lavoro ci mette un’ora. Giudica la qualità della vita a Londra bassa, ma è disposto a fare sacrifici per fare ciò che lo appassiona. Lavorare per vivere.

A Londra c’è G., spagnolo, laureato in un’Università privata. Ora abita e lavora nella City. Ha la segretaria personale. Capita che faccia turni di sette ore, durante i quali si scorda di mangiare e bere. Vivere per lavorare.

A Macerata c’erano anche loro, anche se magari non sanno neanche cosa sia successo. Q. e G. sono migranti economici. Probabilmente stavano bene anche a casa loro, oggi provano a realizzarsi altrove. Esattamente come molte delle persone che odiate, “perché sono stranieri e ci rubano il lavoro”. Il cinismo ci spinge a giudicare degni di essere qui solo i rifugiati, solo chi scappa da atrocità e guerre.
Così magari ci sentiamo anche buoni, caritatevoli.

Ci rivolgiamo a tutti, ma in particolare a chi si sente razzista, intollerante, magari si proclama fascista.

Guardiamo gli altri per quello che sono: uomini, persone – come volete – esseri umani. Un uomo non è la sua cultura, il suo lavoro, il suo status.
L’Altro è tutto ciò che è diverso da me, tutto ciò che sta fuori dal Noi. Ma pensiamoci: senza l’Altro, il Noi non avrebbe alcuna ragione di esistere. Abbiamo bisogno dell’Altro per poter definire il nostro mondo, per poterci dire: “Noi”. C’è chi l’Altro non vuole vederlo, via, fuori dai nostri confini. Nostri? Di chi? Dove inizia il Noi: la Nazione, la Regione, il Comune, la Casa, la Camera, Io. Io, da solo, nella mia camera, chiusa, al sicuro. Tutto resta fuori, tutto è spento. Davanti a chi sono Io? Ho continuamente bisogno dell’Altro per potermi dire Io. Iniziamo a invertire la rotta: l’Altro non è il nostro problema. Noi e l’Altro abbiamo gli stessi problemi. Siamo sulla stessa barca e, l’unica strada è darsi una mano a vicenda. Resistere all’imbarbarimento con la cooperazione.

A Macerata eravate bellissimi, finalmente. Tanti cuori per un’idea semplice: nessuno spazio per fascisti e razzisti. Le bolle dei social network sono straripate in un corteo gioioso e composito. La tensione si è sciolta e abbiamo fatto vedere CHI siamo, quali sono i nostri valori. Tanti, diversi, uguali, felici di condividere idee di umanità oltre gli ius, i confini e le nazioni. Noi che camminiamo verso ciò che è Altro da noi: le trasformazioni future.

Enrico Mariani

 

 

È orribile, è schifoso doversi occupare dei fascisti

Qualcuno dice che Roma è una città di destra. Qualcuno dice che è una città di estrema destra. Qualcun altro dice che Roma è una città fascista. Termine che noi, non amiamo. Dice noi, chi? Noi fasci, naturalmente. Non amiamo sentire la parola fascista perchè il fascismo, secondo noi, non è mai esistito. Secondo noi chi? Secondo noi fasci, naturalmente.

(Sabina Guzzanti imita Giorgia Meloni)

Non si fa neanche in tempo a capire cosa sta succedendo e subito viene polarizzato un dibattito vecchio quanto gli stoici: i “fascisti del terzo millennio” hanno o no il diritto di organizzare la presentazione di un libro negli accoglienti locali della Fiera della Pesca? E’ aperto il televoto. Tu per chi scommetti? D’altronde il modello dell’arena, l’uno contro uno, è diventato il top trend preferito nella scena mediatica, con guanti di sfida lanciati e confronti minacciati, anelati, temuti, disertati, persi, vinti.

Ora, l’analisi sul dibattito che ci restituisce il video di Ancona today è pari a zero. Ogni pretesa di visione d’insieme, che invece si vorrebbe sostenere con le interviste “a campione”, è appiattita sulla forma sondaggistica da reality show. Il dato che ci sembra sovrastare gli altri è un uso sciagurato e giustificatorio del concetto di libertà di espressione.

Non contrastare i fascisti; lasciarli parlare; citare una frase di Voltaire che Voltaire non ha mai scritto… Una linea non solo nefasta, ma gretta, perché da privilegiati, da inabili alla solidarietà: molte persone, infatti, non possono permettersi di «ignorare» il fascismo, perché è il fascismo a non ignorarle, le va a cercare, le colpisce. Soprattutto loro vivrebbero meglio, senza i fascisti e i loro reggimoccolo[1].

Senza bisogno di riepilogare le ragioni del Si e del No, con il rischio di una deriva psichica che ci riporta ai tempi del pre-referendum costituzionale (siamo in tempi di anniversario), andiamo a leggere qualcosa su Casapound. Se non basta constatare che “fascisti” e “democratici” sono due termini contrari e che, se accostati, generano un raccapricciante ossimoro, diciamo apertamente che gruppi come quello in questione annoverano nel loro gotha personaggi dalla spiccata vocazione anti-democratica. Andiamo a studiare i programmi dell’ “unico partito che può portare la sveglia” ai “burocrati, ai passacarte e ai corrotti di ogni colore”. Andiamo a leggere le interviste del leader di CPI, (“Lei è fascista? Certo!”) che dichiara le leggi razziali un “grave errore perchè hanno allontanato gli ebrei dal fascismo”; che rivendica l’eredità del fascismo ma non vuole tornare indietro[2]. Andiamo a sfogliare le pagine della brochure di un partito che annovera tra le sue iniziative “Radio bandiera Nera”, “proteste contro i centri di accoglienza”, “manichini impiccati in tutta Italia”, “Statue incappucciate” senza citare, in 20 pagine, neanche una volta la parola fascismo. Leggiamo i comunicati in cui sconfessano l’orientamento xenofobo per scrivere, due righe sotto, di barricate innalzate sul territorio per sconfiggere il business dei falsi-immigrati ordito dalle onlus catto-comuniste (?!)[3].

Ma… è proprio questo il punto! Il fascismo è un dispositivo che fabbrica a ciclo continuo falsi problemi  e false soluzioni a quei problemi, quindi false al quadrato. Il fascismo è una «macchina mitologica» che produce bufale diversive, descrive nemici fittizi, addita capri espiatori. Il fascismo intercetta pulsioni ed energie  malcontento, voglia di gridare, di ribellarsi, di organizzarsi, di fare cose insieme  e le incanala in conflitti surrogati, sperperandole, dissipandole. Cos’altro sono le barricate contro l’arrivo in paese di profughi (spesso minorenni), cos’altro sono le mobilitazioni contro la «teoria del gender», il «Piano Kalergi», «le ONG», lo ius soli che avvierà la «sostituzione etnica», i «35 euro al giorno agli immigrati»? Cos’altro sono i demenziali complottismi su Soros (l’ebreo!) che paga tutto e tutti, cos’è tutto questo, se non anticapitalismo deviato e aberrato? Sempre attuale la massima di August Bebel: «L’antisemitismo è il socialismo degli imbecilli». Il razzismo è l’anticapitalismo di chi è reso imbecille dalla macchina mitologica fascista[4].

Poi, leggiamo la nota di CPI in merito alla polemica anconetana, dove le proteste vengono definite “puerili” e l’intera questione viene ridotta a iniziativa culturale. Ma guarda te se con tutti i problemi che ci sono, proprio su questo bell’evento culturale vi dovete accanire? Che poi, ad Ancona non si fa mai niente, una volta tanto che c’è un bell’evento culturale. Niente di nuovo. I fascisti per avere agibilità devono ricorrere ad eufemismi e mascheramenti, arrampicate sugli specchi e un, due, tre stella! Devono occultare il loro pensiero perchè consapevoli di non avere agibilità se scendono in piazza con il fascio in mano. Come quello che espone la bandiera RSI a Marzabotto dopo un gol, per poi dichiarare che lui non sapeva che a Marzabotto, ma no che non lo sapevo figurati, perchè si è offeso qualcuno?

Oltre all’eufemizzazione della violenza squadrista delle proprie teorie e pratiche, la strategia si completa con la messa in moto di dispositivi argomentativi tramite cui sfornare a ciclo continuo nuovi simulacri del nemico. Un nemico evocato talmente in alto – il mondialismo, la migrazione e altri temi-ombrello – che alla fine suggerisce a i fascisti 3.0 forme d’azione rivolte sempre, guarda caso, verso il basso. Ripercorrere la strategia comunicativa di CPI significa anche dover considerare anche la storia del ventennio e dell’ascesa fascista al potere. Il fascismo propaganda una falsa rivoluzione: blatera di «mondialismo», di «poteri forti», di «plutocrazie», di oscuri complotti «là in alto», ma  guardacaso  colpisce sempre in basso. Se la prende coi deboli, coi marginali, coi più sfruttati e ricattabili, con le minoranze, i “disturbanti”, gli incollocabili, perché la sua “rivoluzione” è un mascheramento della guerra tra poveri: guerra dei poveri contro i più poveri, dei penultimi contro gli ultimi, del ceto medio pavido d’impoverirsi contro il ceto medio già impoverito, e del ceto medio impoverito contro la working class  — che è sempre più multietnica e meticcia, quindi a maggior ragione!

Riempiendosi la bocca di “rivoluzione”, i fascisti distrussero ogni organizzazione rivoluzionaria, uccidendone i membri o costringendoli all’esilio, facendo piazza pulita per conto dei poteri costituiti. Parlando del «popolo lavoratore» e ostentando pose “antiborghesi”, si fecero pagare dalla grande borghesia per colpire, sovente uccidere, i rappresentanti dei lavoratori. Cialtroni in ogni fibra del loro essere, continuarono a baloccarsi con vuoti proclami “anticapitalistici” anche molto dopo la presa del potere, a regime consolidato, quando il fascismo era ormai la forma politica del capitalismo italiano e il braccio politico di Confindustria. Lo ha raccontato nel modo migliore non un marxista, ma un liberale, Ernesto Rossi, nel suo classico I padroni del vapore. La collaborazione fascismo-Confindustria durante il ventennio (1955, ripubblicato da Kaos nel 2001).

Il fascismo è un fascio di false soluzioni a problemi veri falsificati. False soluzioni che retroagiscono sui problemi veri, aggravandoli[5].

Nel caso di Ancona, siamo di fronte all’evoluzione recente della strategia comunicativa: ormai l’agibilità politica è invocata come un sacrosanto diritto da Casapound, che si colloca quindi sul piano di tutte le altre forze politiche. Tramite l’effetto diversivo creato dal “discorso culturale”, quelli della tartaruga continuano ad occultare i valori che animano il loro fare, costruendo contemporaneamente nuovi simulacri del nemico che – come abbiamo visto – ci portano direttamente al cuore del loro intento. Un lugubre ballo mascherato in cui i nuovi fascisti, più che gli arditi del menefrego, sono diventati un movimento metamorfico che organizza tentativi di radicamento nel territorio. Provando, di volta in volta, a salire sul carro del dibattito che più gli consente di poter legittimare i propri valori, altrimenti banditi dalla scena democratica.

Per intenderci, non dobbiamo neanche fronteggiare argomentazioni come: ma i contenuti del libro possono interessare qualcuno[6], magari Casapound ha fatto anche cose buone. Bè, a questo punto anche LVI ha fatto anche cose buone. Non nascondiamoci dietro un dito. Casapound è un movimento che, come abbiamo visto, si richiama esplicitamente alle pratiche e ai valori del ventennio.

Siamo di fronte ad uno strabismo che Casapound riesce a governare bene, anche grazie alla carenza di anticorpi “sociali”. Risulta abbastanza evidente la contraddizione di chi si dichiara apertamente fascista mentre si proclama difensore della democrazia. Quale democrazia? A questo proposito va rilevato che, in molti casi, quelli di Casapound confondono i concetti di patria, sovranità, democrazia in un cocktail sovranista da somministrare nei salotti del Bel Paese. La domanda che dobbiamo farci ora è: quali sono i temi che consentono ai fascisti di prendere parola e di avere una legittimazione pubblica del proprio pensiero? Parliamo solo di macro-tematiche, cioè di temi e figure che circolano sulla scena informativa e vengono com-presi in temi-ombrello che, di fatto, non esistono in quanto tali (provate un pò a fare un giro in centro e incontrare “LA migrazione”, “IL degrado”, “LA sovranità”)? O di problemi mal posti da cui scaturiscono discorsi aberranti? Il fatto che anche questi soggetti riescono a legittimarsi non rivela delle lacune nel nostro sistema democratico?

Il problema sembra, a questo punto, quello di riformulare l’approccio a questioni che, se continuano ad essere affrontate con le prospettive attuali, offrono spazi di agibilità e servono da legittimazione (non solo) per i fascisti.
“Evidentemente le priorità della città di Ancona si riducono alla presentazione di un libro.” Scrivono sibillini in una nota quelli di Casapound. Evidentemente, e grazie al cielo, la città di Ancona ha capito che sotto (o dietro) la presentazione di un libro si nasconde un baratro. E (forse) qualcuno si è svegliato poco prima di sprofondarci dentro.

Enrico Mariani

 

 

[1] Wu Ming 1Antifascismo e anticapitalismo nell’Italia di oggi. Note sul conflitto surrogato e quello vero. Disponibile qui: https://www.wumingfoundation.com/giap/2017/11/antifascismo-oggi/
[2] Intervista del 15 novembre 2017 a Simone Di Stefano, Corriere della sera. Disponibile qui: http://www.corriere.it/politica/17_novembre_15/casapound-di-stefano-fascisti-picco-ascolti-tv-ad11f0d8-ca3c-11e7-bae0-69536c65a470.shtml
[3] https://www.docdroid.net/iEyLzrj/brochurechisiamo.pdf
[4] Wu Ming 1, Antifascismo e anticapitalismo nell’Italia di oggi
[5] Ibidem
[6] http://www.anconatoday.it/politica/casapound-fascismo-avvocato-toccaceli-ancona.html

 

Frammento di una mattina a Mezzavalle

« La fraternità ha delle sfumature»
F. Pessoa, Il libro dell’inquietudine

La spiaggia, quel giorno, a vederla dallo stradello, era bianca immacolata, come se ci fossero miliardi di confetti uno vicino all’altro. Il sole delle dieci picchiava inclemente sulle teste bollenti dei bagnanti, l’acqua era limpida come sa essere, a queste latitudini, in alcune ore della giornata.
Semplice martedì di luglio: un timido turismo colorava la vista di ombrelloni fluo, racchettoni, cappelli, palle e asciugamani.
Presi posto dove la roccia si fa un po’ più alta, un’ombra strettissima mi permetteva di respirare appoggiato alla parete, quasi in piedi. Socchiudendo gli occhi per via del bagliore, notai una piccola sagoma addobbata che si avvicinava verso il mio spazio. Anche lui si era accorto del rifugio.
« Ciao », porgendomi la sua mano tendinosa.
« Fa caldo eh?! ».
« Oggi troppo caldo, no venduto niente ».
Gli offrii una pesca dalla mia borsa frigo, la mangiava con un gusto tale che i suoi occhi riacquistavano vivacità. Rideva, masticava e osservava il panorama, dal Trave fino al Monte, in silenzio. Portava con sé una borsa piena di asciugamani esotici, gli stessi che i frequentatori di Mezzavalle usano per costruire le ombre o per asciugarsi dopo un tuffo.
« Allah…respetto…bravo…tu…bro», mi diceva mentre con le mani indirizzava dei ringraziamenti verso il cielo azzurro. Così iniziammo a chiacchierare.
Disse di chiamarsi Oranzeb e di venire dal Pakistan; era già pronto per la stagione, tutti i giorni dell’estate dalle 8 alle 18 a Mezzavalle, vendendo asciugamani. Sudava e le gocce del suo viso creavano dei fiumiciattoli che sfociavano sulla sabbia.
Fumammo insieme, mi regalò una bandana e rimise in ordine i suoi bagagli. Gli consigliai di utilizzarne uno giallo invece del rosa, per attirare la clientela. Mi salutò e se andò urlando
« Sciuccamanoooo!!! ».
Visto da dietro sembrava un pastore di un presepe, il suo passo cadenzato squarciava lentamente l’aria infuocata della mattina.

Francesco Mazzanti