Breve resoconto di una mattinata senegalese

Esco di casa alle 11 e 30 per andare al mercato Ndior, quartiere Parcelles Assainie, Dakar. Ad accompagnarmi c’è Marina, la donna che l’Università di Dakar ha scelto come nostra mamma senegalese. E’ lei infatti che, tre volte a settimana, ci cucina deliziosi piatti locali e che cerca di mantenere in ordine la casa di tre disordinati studenti europei. Le nostre perplessità e ritrosie iniziali non hanno convinto l’Università e quindi Marina accompagna molte delle nostre giornate, seguita dal figlio Ernest, di 12 anni.
Tutto ciò che mangiamo è sempre fresco di giornata. Comprato sui banconi del mercato, in poche ore è pronto per essere gustato.

Così oggi decido di seguirla. Per arrivare al mercato prendiamo il car rapide. Vivace (a dir poco) mezzo di trasporto locale che, a quanto pare, ha la caratteristica di non avere fermate fisse. Potenzialmente ovunque. Infatti, dopo circa duecento metri, si sente bussare e alcuni ragazzi chiedono all’autista di rallentare per poter salire. Il controllore è un ragazzo che sta in piedi sulla pedana che si trova nell’unico ingresso, posteriore, del furgoncino.
Dentro siamo circa quindici, mi guardo intorno e osservo, sentendomi a mia volta osservato come avviene da due settimane a questa parte. Vicino all’ingresso c’è un signore anziano con le stampelle, accanto a lui una donna, con un foulard rosso e nero, dai motivi floreali, mastica un chewing-gum e mi fissa. Poi ci sono ragazzi e ragazze più o meno giovani. Io e Marina ci sediamo in fondo e, come in un tetris, incastro le gambe tra quelle del ragazzo che siede di fronte a me. Per me è tutto una sorpresa ma mi circondano volti segnati dall’abitudine.
Non abbiamo percorso neanche un chilometro. Stop. L’autista scende. Nessuno ci fa caso. Così aspettiamo circa 10 minuti. Qualcuno sembra lamentarsi. L’autista torna e ingrana le marce salvando il car rapide dalle macchine agguerrite, in coda, che suonano il clacson e che cercano di sorpassarci.

In pochi minuti siamo al mercato. Appena scendo si sente la musica della macchina che accompagna i Baye Fall. Appena mi vedono fanno per venirmi incontro chiedendomi insistentemente qualche moneta. Mi divincolo e con Marina entro nei vicoli del mercato. “Lasciali perdere – mi dice Marina nel suo francese scolastico, proprio come il mio –  non hanno voglia di lavorare e vanno in giro sempre a chiedere soldi a chiunque”. I loro abiti e il loro portamento ha però qualcosa che mi affascina e che, senza dubbio, cattura la mia attenzione.
Marina si destreggia tra le strette vie del mercato, rapida. Provo a starle dietro mentre intorno a me noto botteghe di ogni genere: macellai vicino a venditori di stoffe. Cianfrusaglie per la casa e parrucchieri. Riso, spezie, verdure. Molto spesso non comprendo dove finisce una bancarella e dove inizi l’altra. Mi sento ancora stralunato.
Così saliamo al piano di sopra dalla scalinata centrale del mercato. Si capisce, salendo, che il primo piano ospita pescherie e macellerie. L’odore forte del sangue si mescola con quello del pesce sui banconi. E’ uno stretto confine tra la nausea e il piacere dei sensi.
Oggi si cucina il Tiebou Diene, piatto che necessita di pesce  e che va accompagnato con del riso. Chiaramente è una semplificazione, Marina si arrabbierebbe, lo so.
Così Marina inizia a trattare per il prezzo dei tre esemplari che ci interessano. Dietro ci sono donne che puliscono pesce con delle spazzole che fanno partire pezzi di pelle ovunque. I loro abiti ne sono pieni. Altre affettano pesci spada alti quanto una persona. Ci sono anche tonni, sarde e tanto altro. “E’ tutto fresco” continua Marina. Mille franchi l’uno, mi fa cenno. Perfetto. Può andare.
Le trattative hanno tempistiche non calcolabili e, nella stessa maniera, proseguiamo al banco delle verdure. Spesso Marina mi guarda e ride. Comprende il mio straniamento dato che tutto si svolge rigorosamente in wolof. Molti commercianti mi sorridono, salutano e provano dei salamelecchi a cui cerco di rispondere timidamente. Le conversazioni terminano con grasse risate dovute, penso, alle mie smorfie di incomprensione.

Usciamo dal mercato e decidiamo di tornare a piedi. Sono circa quindici minuti, nelle strade sabbiose dell’Unité 26 di Parcelles Assainie. Ci fermiamo alcune volte per conversare con amiche di Marina. Anche lei abita qui in quartiere e in molti la conoscono. Incontriamo anche Ernest. Gioca con altri bambini ma si unisce a noi. Marina mi fa cenno di accompagnarla a casa per prendere il mortaio, oggetto determinante nella sua cucina, con cui pesta ogni tipo di verdura e spezia per creare particolari salse.
Entrando noto subito il piccolo cortiletto interno, simile alle altre case in cui sono già entrato. “Lei è mia madre – fa Marina indicandomi una signora, non così anziana – aveva voglia di conoscervi”. Prende subito una sedia e mi fa mettere seduto. Mi ringrazia e, con il suo dolce sorriso, mi saluta. “Speriamo di vederci presto”. Diereudief, Madame.

Francesco Mazzanti