Cronaca di una partita (semi)seria

Sono le cinque del pomeriggio e il sole, accompagnato dall’umidità, secca le gole e scalda la pelle. Nonostante ciò ci sembra il momento perfetto per andare in spiaggia. Obiettivo: partita di calcio. Il figlio di Marina, Ernest, viene con noi. Siamo in quattro quindi, con un suo amico che indossa la maglia di Lionel Messi. Ernest invece quella di Ronaldo, è un tifoso del Real Madrid. A vederli camminare da dietro compongono una bizzarra coppia di amici per la pelle.
Come al solito, la spiaggia di Yoff è un campo di calcio continuo. Un po’ per l’umidità, un po’ per la quantità di persone, non ne percepiamo la fine. Pneumatici distrutti, messi in piedi, compongono le porte. La densità di partite è così alta che ogni porta serve sia per un verso che per l’altra. Due portieri si danno le spalle e difendono la stessa idea. Non ci sono linee ad indicare la fine del campo, così si gioca dappertutto. Unica eccezione: touche, quando la palla si arresta sul bagnasciuga. Lì non è più possibile prenderla a calci e si batte la rimessa.

Dopo un po’ che camminiamo in spiaggia decidiamo di fermarci nel campo che ci sembra più interessante. E’ in corso una partita tra due squadre. Così io, Paul e i due piccoli decidiamo di metterne su una. Ci servono altri tre giocatori e sono in molti a venirci incontro chiedendo di giocare con noi. Facciamo scegliere a Ernest e così aspettiamo il nostro turno. Mi spiegano brevemente come funzionano le partite. Un tempo secco da dieci minuti, in caso di parità calci di rigore (tre per squadra). Se una squadra spinge la palla in rete per due volte prima che scadano i minuti la partita termina lì e…avanti il prossimo.
E’ il nostro turno, io e Paul ci osserviamo preoccupati. Sarà una partita dura. Qui nessuno vuole perdere, sia chiaro.

Così ci schieriamo in campo. I nostri compagni sono tre ragazzi che guardo dal basso verso l’alto e che mi sembrano giganti. Iniziamo a parlare il linguaggio universale che accomuna i giovani di tutto il mondo. Non ci parliamo molto ma ci capiamo benissimo. Bastano alcuni movimenti del corpo e delle gambe per intendersi.
Sono già passati cinque minuti. Il nostro portiere salva un gol sulla linea e ripartiamo in contropiede. Ousmane segna per noi. 1 a 0.
A farsi valere è anche il piccolo Ernest, temerario difensore, che si cimenta in scivolate eroiche contro attaccanti che hanno il doppio della sua età.
Sono quasi passati i dieci minuti ma è come aver fatto una maratona. Il sole, couchant, manda riflessi infuocati sull’acqua e penso di avere dei miraggi. Nel frattempo in mezzo al campo passano corridori instancabili, famiglie, gruppi di ragazze che si buttano in acqua. Noto anche un ragazzo che pulisce il suo cavallo in riva al mare. Alcune volte mi confondo e non so a chi passare la palla. Altre volte mi capita di passarla a qualcuno che in realtà sta solo attraversando il campo.
Finita. 1 a 0 per noi. Bisogna giocarne un’altra? Chiedo preoccupato agli altri. Certo, sei stanco vero? Però sei bravo! Mi dice Ousmane. Grazie, ma forse non ho mai giocato con questo caldo. Neanche in alcune giornate di preparazione atletica estiva, penso.
Così ci rimettiamo in campo e, complice la stanchezza comune, prendiamo una sonora batosta. Avrei in mente di stringere la mano al goleador dell’altra squadra per avermi evitato altri dieci minuti.

Sudati dalla testa ai piedi, con la sabbia tra i capelli, ci gettiamo dentro l’acqua calda dell’oceano.
Lasciamo i due piccoli in spiaggia, ci resteranno fino a che il buio impedirà ai loro occhi di percepire una palla.
Ci facciamo asciugare dal vento  e decidiamo di rientrare. Sono le ore più affascinanti della giornata. Quando il sole si nasconde dietro le case e Parcelles è un brulicare di gente. I bambini riempiono le strade, alcune signore grigliano pannocchie di mais, altre cucinano arachidi in una pentola che contiene sabbia. Molti sono alle prese con la preparazione del tè, altri ancora giocano a dama sull’uscio di casa. Alcuni ci chiedono come è andato lo sport. Très fatigué, rispondo stravolto. Così ce ne torniamo a casa mentre il muezzin intona la sua preghiera del venerdì.

Francesco Mazzanti