Taxi andata-ritorno

“Ti piace fare il tassista Amadou?”
“ Se ci fosse qualcosa di meglio…No, non mi piace per niente” e guarda sconsolato fuori dal finestrino. I fumi neri escono dal camion davanti, saturano l’aria e la rendono irrespirabile dentro questa Peugeot gialla e nera che Amadou guida con disinvoltura.
“Sai quanti documenti servono per fare il tassista? Troppi. E in più ogni volta sei costretto a entrare nel giro della corruzione per velocizzare i tempi”. Mi guarda mentre siamo fermi in mezzo a un traffico che sembra non finire mai. Embouteillages, imbottigliamento, è una parola che a Dakar passa di bocca in bocca più volte al giorno. E Amadou lì in mezzo, come tanti altri, ci vive quotidianamente, con tutta la calma di cui ha bisogno per affrontare la giornata. Spesso suona il clacson, ma il suono si perde nelle strade, vuoto, senza speranza.
Amadou abita a Grand Yoff, un quartiere popolare dove la città inizia a farsi periferia. “Detesto andare in centro – e lo dice proprio mentre imbocchiamo l’autostrada diretti a Plateau, il quartiere dove si trova Place de l’Indépendance, gli uffici, le ambasciate e i vari ministeri – vedi adesso lo trovi così pieno di gente ma dalle otto di sera qua non c’è nessuno, tutti se ne vanno via…Io preferisco molto di più le banlieu”. Lo salutiamo ormai arrivati a destinazione e ci resta la sua immagine sorridente mentre la porta anteriore, chiudendosi, emette un crac preoccupante.

 

 

Cheikh Sarr ci fa salire alla Mèdina, quartiere piuttosto vivant della città, meta finale del nostro pellegrinaggio pomeridiano.
La sua conoscenza del francese è limitata e in più la musica della radio spara dalle casse una canzone senegalese che copre le voci. Il volume non viene abbassato, ma continuiamo a comunicare.
“Ahhh, italiani!! Bella l’Italia, molti soldi lì, vero?”. E subito prende il cellulare per mostrare il nome di un suo amico che si trova, da qualche parte, nel Belpaese. “Io voglio venire in Italia, ho provato a fare il visto ma la prima volta l’hanno rifiutato e la seconda avevo finito i soldi. C’è tanto lavoro vero? Ti pagano sempre bene vero?” Vola con il pensiero lontano, e noi con lui, per evitare di pensare alle duecento macchine agguerrite che ci circondano, dirette tutte verso lo stesso incrocio.
Entrambi pensiamo all’Italia, io che la conosco, lui che la sogna, io che sono qui e lui che mi porta in giro.
Arrivati all’Unità 26 di Parcelles, mi mostra la foto della sua ragazza che ‘non abita distante da casa vostra’, dice. Lo schermo del cellulare si illumina dei colori di un boubou colorato, il viso curato e un sorriso dolce, dolce. “Elle est belle” gli dico. “C’est vrai, merci”.

Francesco Mazzanti